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'L'ECCIDIO'

Anpi i Martiri della Gera

In questa località denominata Gera, nella primavera del 1944, alcuni partigiani cominciarono a radunarsi alla spicciolata, sotto la guida del capitano Giacinto Lazzarini. Vennero ospitati nel cascinale della famiglia Garibaldi, la cui dimora fu spesso rifugio di Ebrei e perseguitati, prima dell'espatrio nella vicina Svizzera. Pian piano il numero dei partigiani aumentò fino ad assumere le caratteristiche di una formazione dedita ad azioni di disturbo e sabotaggio.

All'alba del 7 ottobre del 1944, sotto una pioggia battente, un commando fascista delle brigate nere, forse a causa di una delazione, sorprese nel sonno dodici partigiani rifugiati nel cascinale. Quattro di loro: Giacomo Albertoli, Alfredo Carignani, Pietro Stalivieri e Carlo Tappella furono fucilati sul posto e i loro corpi lasciati per alcuni giorni sul terreno. Gli otto partigiani superstiti vennero fatti sfilare a mani alzate per le vie di Voldomino e poi fino a Brissago Valtravaglia dove, presso il cimitero, altri cinque vennero fucilati: Giampiero Albertoli, Dante Girani, Flavio Fornara, Luigi Perazzoli, Sergio Lozio. Infine, nello stesso giorno, ultima tappa per i superstiti, l'ippodromo delle Bettole di Varese dove vennero fucilati Elvio Copelli, Evaristo Trentin e Luigi Ghiringhelli.

Il capitano Lazzarini sfuggì alla cattura, mentre la moglie Angela Bianchi, ospite della famiglia Garibaldi, subì in carcere interrogatori e intimidazioni.

Si ricordano in questo luogo altri tre partigiani della Formazione Lazzarini, caduti in imboscate o scontri a fuoco: Domenico Pagliolico, Alfredo Aime, Franco Buffoni.

LOTTA DI LIBERAZIONE E POPOLAZIONE

Nella lotta di liberazione (1943-1945) fu determinante l'apporto della popolazione civile. Donne e uomini che, anche a costo della vita, concessero ai partigiani ospitalità, rifornimenti o soltanto un semplice, ma prezioso silenzio

. Duilio e Maria Garibaldi con le figlie Rosetta e Lina, per l'ospitalità consapevolmente offerta ai partigiani della «Formazione Lazzarini», subirono il saccheggio della casa e l'incendio del cascinale. Soffersero personalmente chi il carcere, chi l'espatrio per la condanna a morte in contumacia (Duilio), chi la clandestinità. Ebbero salva la vita grazie alla rete di protezione della popolazione, del clero e all’aiuto dei figli Don Marco, Raimondo e Mario Baggiolini, quest’ultimo già costretto all’espatrio per l'accusa di collaborazionismo con Don Folli.

A loro, alla popolazione voldominese e a tutti gli anonimi protagonisti della Resistenza va il nostro commosso ricordo

DON PIERO FOLLI

In questo luogo viene ricordato anche Don Piero Folli (1881-1948), parroco di Voldomino dal 1923 al 1948. Antifascista dichiarato, fin dai primi anni del suo ministero, subì angherie di ogni tipo. Coraggioso ed audace, non esitò a denunciare le violenze e le prevaricazioni della dittatura fascista. Dopo l'8 settembre 1943 e l'arrivo a Voldomino di perseguitati politici, Ebrei ricercati, prigionieri alleati, giovani renitenti alla leva, Don Folli, con il supporto della popolazione, spalancò le porte della casa parrocchiale e dell'oratorio, accogliendo centinaia di persone, rifocillandole e aiutandole ad espatriare.

Il 3 dicembre del 1943 un commando tedesco irruppe nella casa parrocchiale di Voldomino. Percosso a sangue, interrogato e torturato, venne incarcerato a San Vittore, ma non rivelò mai i nomi dei collaboratori. Al termine della guerra continuò il suo ministero a Voldomino. Mai ripresosi completamente dai maltrattamenti subìti, morì l'8 marzo 1948.

I LUOGHI

Il sacrario fu eretto dopo la Liberazione a cura del Comune di Luino e per volere di Don Piero Folli. La Madonna dei Partigiani ed i ritratti dei Caduti sono opera del pittore Zagni, comunista, compagno di cella di Don Folli a San Vittore. La statua in bronzo «Il partigiano», posata in occasione del 60° anniversario dell'eccidio, è opera di Ambrogio Consonni. La preghiera del Partigiano è di Teresio Olivelli, rettore del Collegio Ghislieri dell’Università di Pavia, morto nel gennaio 1945 in un campo di concentramento tedesco. La parete dove sono affisse le lapidi è quella del cascinale che ospitava i partigiani, ricostruito dopo l'incendio.

A CURA DELL’A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) DI LUINO

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CHI SIAMO NOI DELL’A.N.P.I.?

Donne e uomini che hanno partecipato alla Resistenza o che ne hanno raccolto il testimone, giovani antifasciste ed antifascisti che insieme lottano contro ogni forma di ingiustizia e di razzismo. Siamo un’associazione apartitica che opera per la difesa dei per salvaguardare la memoria delle lotte partigiane contro il nazifascismo e per la difesa dei principi sanciti dalla Costituzione italiana, nata dalla Resistenza.

COSA FACCIAMO?

In Italia e nel mondo cresce l'intolleranza e l'insicurezza, si riducono per tutti i diritti sociali e gli spazi di partecipazione, si decidono nuove e sempre più sanguinose guerre, mentre la disuguaglianza e la miseria continuano ad aumentare. Con la memoria del passato e lo sguardo rivolto al futuro, A.N.P.I. agisce nel presente.

LOTTA AL RAZZISMO

Vogliamo bandire ogni forma di razzismo. Il nazifascismo ha sterminato antifascisti, avversari politici, prigionieri di guerra, civili e più di 6 milioni fra Ebrei, rom, omosessuali e persone diversamente abili. Noi siamo convinti che non possano esistere una civiltà e una cultura superiori alle altre. Con i migranti, vogliamo costruire una società solidale, capace di accogliere, riconoscendo il diritto a fuggire dalla povertà, dalla miseria, dalle persecuzioni e dalla guerra.

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Vogliamo salvaguardare le conquiste di chi ha lottato ed ha sacrificato la propria vita per restituirci il dono della LIBERTÀ e abbattere il nazifascismo che ha causato una guerra disastrosa, con un bilancio di più di 60 milioni di morti.

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